venerdì 12 luglio 2013

Prima lettera

Ti ho di nuovo sognato, ed è la seconda volta questa volta settimana.
Ho sognato il tuo sorriso mai sbilenco, gli occhi scuri e gli occhiali in equilibrio sul naso. Di te mi è sempre rimasta impressa addosso la risata, il modo spiccio e amichevole con cui ti approcciavi al mondo, la confidenza che ti prendeva con chiunque senza mai risultare inopportuno. 
Sono anni che neppure t'incrocio per città, gira voce che tu viva all'ombra di una grande cupola, ma ho la ferma certezza sotto pelle che se mai dovessi ritrovarti allora tornerei a sentirmi la ragazzina che ero. Impacciata, imbarazzata, affascinata. C'è stato un periodo in cui ho creduto di amarti, mesi passati a consumarmi sui banchi di scuola e a riversarti addosso diluvi di parole che ora - a rileggerli - mi imbarazzano moltissimo. Ma non sei mai stato tipo da rinfacciare nulla, tranne la notte in cui mi sono ubriacata davvero per la prima volta e tu mi hai urlato in faccia che no, non ti interessavo, e non una volta ti sei lamentato per tutto quello che ti costringevo a leggere. Non ho mai capito davvero cosa sperassi di ottenere, imbevuta com'ero nella pretesa di essere speciale e da scoprire quando invece neppure io avevo ancora scoperto davvero chi fossi. Neanche avevo iniziato a farlo e probabilmente tu sapevi di me più di quanto io sappia adesso, sopportando con pazienza la mia invadenza silenziosa, mostrandomi orgoglioso i volti delle tue sorelline attraverso una webcam sgranata.
Se penso a te ricordo quella volta che c'era un'assemblea d'istituto a scuola e mi ha portata a Barcola. Ricordo il freddo di fine marzo, il cielo grigio e il calore che sentivo premere contro le dita mentre mi tenevo stretta a te facendo finta che ci fossimo solo noi, che ci fosse qualcosa oltre la gentilezza di un favore offerto. Sono sempre stata brava a fare finta, mentre tu non ne hai mai sentito la necessità: quello che volevi già lo stringevi tra le dita, proprio come io ho stretto le pieghe della tua felpa per una parentesi ampia dieci minuti. Il sorriso che ho avuto poi il giorno dopo, quando mi hai detto che tuo padre ci aveva visti e aveva creduto fossi la tua ragazza...!
Non so perché ti ho sognato, ma ho imparato che sognarti - così come sognare PrimoAmore - è un rigurgito di passato all'alba di qualcosa di nuovo. Che quando voi due tornate a bussare ai margini della mia coscienza, quando vi fate concreti in dettagli che esplodo improvvisi al confine delle mie percezioni, allora un cerchio si sta chiudendo per lasciare posto al successivo. O forse invece non vuol dire niente, forse è solo la mia paura che riemerge dal fondo dove l'ho sepolta malamente e si nasconde dietro i vostri visi nel tentativo di trattenermi in un labirinto di ricordi sempre più vaghi e distante. 
Però è stato bello ripensare alle righe che ti ho cucito addosso, al suono - distorto dal tempo - della tua voce, a come fossi l'unico pensiero costante in un periodo in cui tutto sembrava scivolare via inesorabilmente. Non è cambiato poi troppo, da allora. Tutto sembra ancora scivolare via, ma non alle mie spalle: corre avanti, verso il futuro che mi sono scelta e che un passo alla volta spero di realizzare. Dietro di me una sfilza di sorrisi mi guardano, tra questi mi piace pensare ci sia anche il tuo che mi insegue con una piega un po' sarcastica. Come a dirmi hai visto? Io te l'ho sempre detto, le cose non devi volerle e basta: devi alzarti e andare a prendertele.

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