lunedì 29 luglio 2013

Al confine di un attimo

Il buio la notte, senza luci - solo stelle;
il profumo del bosco;
le libellule sul pelo dell'acqua, nel riflesso cangiante del sole, e i pesciolini tra i piedi;
Kora che insegue le papere e mamma che insegue Kora;
il vento sulla pelle;
le passeggiate nei campi dove sembra che il mondo smetta di esistere e non c'è altro al di fuori di me, dei miei pensieri, del guinzaglio che tira e della pallina da tennis nell'altra mano;
il posto in cima alla collina;
leggere un libro al giorno;
sorridere a chi ti parla in una lingua straniera, senza capire nulla al di fuori della gentilezza;
il padre della tenda di fronte e la premura nel giocare con il suo piccolo clone biondo;
il fruscio - come di pioggia - della brezza tra le foglie;
le spalle bruciate e le dita appiccicose di crema;
i dolci alla crema sgranocchiati la sera;
giocare a dadi come quando ero bambina, dopo cena;
le discussioni sulla musica da ascoltare e su chi debba sedere sul sedile davanti;
le strade di montagna che sono splendide - peccato mi facciano star male;
i chilometri che si consumano sotto le ruote e poi la pace dell'arrivo;
quattro giorno, due magliette, due paia di pantaloncini, un maglioncino e un costume da bagno;
i capelli sempre raccolti e il viso sempre struccato;
la sensazione che tutto quello che è da aggiustare non sia che un ricordo lontano, che tutto quello di cui ho bisogno non è altro che una mattina in riva al lago e un pomeriggio sotto i pini;
la lontananza che pesa ma non da fastidio perché al ritorno, alla fine, niente sarà davvero andato perso. Perché al ritorno, semmai, ci sarà tutto quello che si è nascosto al confine di un attimo da aggiungere.

25 - 29 luglio 2013
Weissensee, Austria

martedì 23 luglio 2013

Seconda lettera

Mi ricordo di estati trascorse in riva al mare, pomeriggi interi spesi in acque non proprio trasparenti. 
Mi ricordo la sabbia sotto i piedi, e quel punto oltre il quale non mi spingevo perché c'era un prato di alghe e io delle alghe ho sempre avuto paura. Pomeriggi senza pensieri e preoccupazioni, tersi come il cielo ad agosto ma pieni di colore, dove bastava aspettare che mamma rientrasse dal lavoro e ci raccogliesse in macchina. Poi le ore perdevano la loro forma, si dilatavano e rimpicciolivano secondo i capricci del mio divertimento e l'unico appuntamento fisso era quello con la signora dietro al bancone del bar per il gelato, e con le sue lamentele per il mio presentarmi sempre fresca di doccia, gocciolante come un cucciolo.
Mi ricordo estati di compiti dimenticati fino agli albori di settembre in favore di libri dalle pagine sempre  ruvide di salsedine e ondulate di mare, vecchi amici mai dimenticati che trascinavo con me infaticabile e che ero solita preferire al chiassoso strillare degli altri bambini nello stabilimento. Non ero brava con le persone, né con le parole. Leggevo per riempire il silenzio che mi circondava quando scrivere non era ancora un'opzione pensabile e c'erano quei fine settimana a Lignano dove ogni sera era quasi un obbligo fermarsi in libreria perché io avevo un nuovo libro da prendere e scoprire, un nuovo amico da farmi per compensare tutti quelli che non sapevo trovare. 
Mi ricordo di queste estati perché mai una volta sono stata infelice, mai una volta ho sentito la mancanza di quello che non avevo e in fondo non sapevo davvero di non avere e la mancanza di qualcosa che non sai di non avere non si può sentire.
Il problema è quando hai qualcosa e hai paura di sentirne la mancanza o quando hai avuto qualcosa e l'hai perso pur volendolo disperatamente; è quando senti quel qualcosa scivolare via e non riesci a trattenerlo e ti chiedi com'è che tutte le cose che scappano via siano davvero come granelli di sabbia che sfilano dalle dita e graffiano pure la pelle, nel farlo. Forse sono io che non sono brava a trattenere, forse non ho mai davvero imparato a farlo, ma ci sono momenti in cui - nel caldo afoso della mia stanza - mi tornano alla mente quei pomeriggi di tanti anni fa dove niente di tutto quello che mi preoccupa oggi poteva sfiorarmi, dove era sufficiente ci fosse il sole alto nel cielo per avere la certezza che tutto sarebbe andato bene e che alla sera, alle sue prime stelle nel velluto blu della notte, avrei sorriso. E allora sorrido del ricordo e per una volta quello che ho, assieme a quello che ho avuto, è più che abbastanza.

venerdì 12 luglio 2013

Prima lettera

Ti ho di nuovo sognato, ed è la seconda volta questa volta settimana.
Ho sognato il tuo sorriso mai sbilenco, gli occhi scuri e gli occhiali in equilibrio sul naso. Di te mi è sempre rimasta impressa addosso la risata, il modo spiccio e amichevole con cui ti approcciavi al mondo, la confidenza che ti prendeva con chiunque senza mai risultare inopportuno. 
Sono anni che neppure t'incrocio per città, gira voce che tu viva all'ombra di una grande cupola, ma ho la ferma certezza sotto pelle che se mai dovessi ritrovarti allora tornerei a sentirmi la ragazzina che ero. Impacciata, imbarazzata, affascinata. C'è stato un periodo in cui ho creduto di amarti, mesi passati a consumarmi sui banchi di scuola e a riversarti addosso diluvi di parole che ora - a rileggerli - mi imbarazzano moltissimo. Ma non sei mai stato tipo da rinfacciare nulla, tranne la notte in cui mi sono ubriacata davvero per la prima volta e tu mi hai urlato in faccia che no, non ti interessavo, e non una volta ti sei lamentato per tutto quello che ti costringevo a leggere. Non ho mai capito davvero cosa sperassi di ottenere, imbevuta com'ero nella pretesa di essere speciale e da scoprire quando invece neppure io avevo ancora scoperto davvero chi fossi. Neanche avevo iniziato a farlo e probabilmente tu sapevi di me più di quanto io sappia adesso, sopportando con pazienza la mia invadenza silenziosa, mostrandomi orgoglioso i volti delle tue sorelline attraverso una webcam sgranata.
Se penso a te ricordo quella volta che c'era un'assemblea d'istituto a scuola e mi ha portata a Barcola. Ricordo il freddo di fine marzo, il cielo grigio e il calore che sentivo premere contro le dita mentre mi tenevo stretta a te facendo finta che ci fossimo solo noi, che ci fosse qualcosa oltre la gentilezza di un favore offerto. Sono sempre stata brava a fare finta, mentre tu non ne hai mai sentito la necessità: quello che volevi già lo stringevi tra le dita, proprio come io ho stretto le pieghe della tua felpa per una parentesi ampia dieci minuti. Il sorriso che ho avuto poi il giorno dopo, quando mi hai detto che tuo padre ci aveva visti e aveva creduto fossi la tua ragazza...!
Non so perché ti ho sognato, ma ho imparato che sognarti - così come sognare PrimoAmore - è un rigurgito di passato all'alba di qualcosa di nuovo. Che quando voi due tornate a bussare ai margini della mia coscienza, quando vi fate concreti in dettagli che esplodo improvvisi al confine delle mie percezioni, allora un cerchio si sta chiudendo per lasciare posto al successivo. O forse invece non vuol dire niente, forse è solo la mia paura che riemerge dal fondo dove l'ho sepolta malamente e si nasconde dietro i vostri visi nel tentativo di trattenermi in un labirinto di ricordi sempre più vaghi e distante. 
Però è stato bello ripensare alle righe che ti ho cucito addosso, al suono - distorto dal tempo - della tua voce, a come fossi l'unico pensiero costante in un periodo in cui tutto sembrava scivolare via inesorabilmente. Non è cambiato poi troppo, da allora. Tutto sembra ancora scivolare via, ma non alle mie spalle: corre avanti, verso il futuro che mi sono scelta e che un passo alla volta spero di realizzare. Dietro di me una sfilza di sorrisi mi guardano, tra questi mi piace pensare ci sia anche il tuo che mi insegue con una piega un po' sarcastica. Come a dirmi hai visto? Io te l'ho sempre detto, le cose non devi volerle e basta: devi alzarti e andare a prendertele.