domenica 11 agosto 2013

Troppo privato per guardare, troppo vivido per ignorare

La luce è cambiata. Non è più un muro al calor bianco che precipita sulle cose; si è addolcita in un oro sbiadito che già bisbiglia nel vento di quanto vicino sia settembre. Proprio lì, al limitare del mio campo visivo, gonfio dei profili ombreggiati di tutte le cose che devo fare, organizzare, pianificare prima che l'estate finisca e una nuova vita in una nuova città srotoli timidamente i suoi primi passi impacciati.
Avrei tante cose da dire, tante chiacchiere sulle piccole sfortune di un pomeriggio al mare o di una mattinata sotto il sole cocente di un parcheggio deserto, ma la verità è che ho una sola immagine prigioniera negli occhi e mentre tutto il resto scappa via lei rimane impigliata e dondola, appesa alla ragnatela sottile della mia attenzione, senza mai spezzarne il filo trasparente. Qualcosa di così privato che persino assistere attraverso lo spiraglio di una porta socchiusa mi è sembrata un'intrusione imperdonabile nel dolore altrui; qualcosa di così delicato che nell'istante in cui ho realizzato cosa stava accadendo mi sono schiacciata contro la parete che avevo alle mie spalle e chiuso gli occhi per non vedere, per non sapere, per non lasciare che mio padre scorgesse il riflesso pungente delle lacrime che avevo negli occhi. Ho sentito un uomo singhiozzare e ho sbirciato di nuovo, in tempo per vederlo chinarsi su un vecchio cane, steso sopra un tavolo, per levargli il collare e accarezzargli il muso biondo. 
Troppo privato per guardare, troppo vivido per ignorare. Mi sono chinata su Kora, ho lasciato che mi saltasse addosso e che la sua testolina dura sbattesse forte contro il mio mento; ho riso e l'ho spinta via come quando giochiamo a fare la lotta e lei cerca sempre di mordermi le braccia, o la pancia, o il fiocco del pigiama come tentasse di disfarlo e portarselo via. Ma il peso di quella tristezza mi è rimasto appiccicato addosso, sgradevole come una patina di sudore sulla pelle e impossibile da lavare via. Persino adesso, a giorni di distanza, se ci ripenso sento lo stomaco aggrovigliarsi e una paura illogica, ingiustificata, risalirmi acre la gola. 
Se cinque mesi fa qualcuno mi avesse chiesto quanto sarebbe cambiata la mia vita, dopo l'arrivo di Kora, probabilmente avrei scrollato le spalle e buttato lì due parole di cortesia. Oggi, invece, la mia più grande paura è lasciare andare proprio lei e il concentrato di meraviglia che si agita veloce sotto il nero lucido del suo pelo morbido. Oggi, invece, non saprei immaginare le mie giornate senza il suo scodinzolare furibondo quando mi sveglio al mattino o torno a casa tardi la sera, senza il suo abbaiare indignato quando vuole qualcosa e non riesce a prenderlo, senza il modo buffo che ha di darmi un colpetto sulla gamba quando vuole ancora giocare al tiro alla fune, senza i passetti buffi che fa quando gli irrigatori sono accesi - e lei ne ha paura - e cerca di scappare al getto per riportarmi la pallina e farsela lanciare di nuovo. Ho imparato a conoscere il rumore dei suoi sogni e il suo sbuffare quando vorrebbe che smettessi di leggere, la notte, e spegnessi la luce. Conosco le parabole eleganti dei suoi salti quando entra nella piccola piscina che le abbiamo preso e so che quando esce dall'acqua - mare o lago o pozzanghera che sia - si scrolla, poi si rotola nel posto più sporco che le capita a tiro e torna a scrollarsi una seconda volta tutta felice. So che scava quando al campo cerca di distrarsi dagli altri cani attorno a lei e ormai sono abituata a tornare a casa con le caviglie infarinate di terra rossa, non ci faccio neanche più caso. E anche quando mi arrabbio con lei e la vedo mettere in discussione la mia autorità, anche quando scappa via in giardino e non c'è verso di farla tornare al portone dove era neanche tre secondi prima, anche quando la chiamo e neppure mi guarda, la rabbia è solo una nuvola momentanea che si dilegua al suo zompettare sbilenco, all'assoluta fiducia con cui mi guarda quando lavoriamo assieme, alla felicità con cui schizza via di corsa quando le dico che può farlo e al suo ritornare puntuale, soddisfatto, spensierato. 
E sono solo cinque mesi. Come si fa a stare impassibili dinnanzi all'immensità degli anni condivisi e ora in piedi davanti ad una fine imminente, imposta, dolorosa? Come si fa a restare indifferenti davanti ad una persona alle prese con una vita intera spesa al fianco di una creatura che ora hai la responsabilità di liberare da ogni vincolo e ogni dolore, privandotene per alleviare e porre fine alla sua sofferenza?
Non si può, e più ci penso più il pensiero mi è insopportabile. Insostenibile. 
Non si può, e più ci penso più il pensiero rimane impigliato e s'impone sulle mille altre cose che ho da fare, programmare, organizzare.
Poi per fortuna arriva Kora scivolando sulle piastrelle e la paura si dissolve nei suoi occhioni luminosi, di cucciola capricciosa e viziata. Ci pensa lei a ricordarmi che preoccuparsi del futuro è secondario quando il presente è tutto ancora da scoprire.